Moltissimi anni fa a Barasso, nelle vicinanze del Lago di Varese, viveva un ragazzino bistrattato da tutti. Nicone era il suo nome e la causa del suo mal erano proprio le sue passioni, quelle attività a cui si dedicava anima e corpo ma che non incontravano il favore delle genti.
Nicone era un bambino fuori dalle righe. Quando tutti i suoi coetanei impiegavano i pomeriggi a giocare, divertirsi e fare scherzi, lui preferiva sedere sotto le fronde degli alberi e immergersi nella lettura. Quando i ragazzi del paese suonavano, ballavano e ridevano, lui si ritirava nel silenzio dei boschi circostanti a pregare e meditare. Era un bambino felice, un ragazzo di buon cuore ma purtroppo gli abitanti di Barasso non lo capivano e tendevano ad isolarlo.
La diffidenza nei suoi confronti presto si tramutò in antipatia e i ragazzetti suoi coetanei non tardarono a prenderlo di mira. Sia gli adulti che i più giovani iniziarono a farsi gioco di lui, a schernirlo per i suoi interessi particolari, a tirargli pietre per disturbarlo. Perfino nel cuore dei suoi genitori crebbe un sentimento malevolo, tutta la famiglia non faceva altro che apostrofarlo con parole cattive, etichettarlo come fannullone e intimargli di mettersi a lavorare, divenire una persona seria!
Le pietre ferivano il suo corpo, le parole invece ferivano la sua anima. La sua risposta a queste continue vessazioni era una dedizione ancora maggiore alle attività che più amava e che più lo facevano sentire bene. Ancora più spesso si isolava nella natura e si immergeva nella preghiera.
L’unico suo amico era un grosso cane dal pelo tutto arruffato e gli occhini dolci. Fu proprio guardando il suo buon musetto che un giorno decise di andar via, lasciar tutti e ritirarsi per sempre nel suo mondo.
Una volta presa quella difficile decisione seppe esattamene quali erano le cose da fare. Andrò dai suoi genitori e chiese in anticipo la parte di eredità che gli spettava, quello che ottenne fu soltanto un grosso bue. Pervaso dall’ottimismo per quella nuova vita che lo aspettava, incoraggiava il bue a fare strada, promettendo di seguirlo senza porsi troppe domande.
Così la strana combriccola partì. Nicone, il bue e il cane attraversarono il paese, subendo per l’ultima volta quel trattamento di sassate e insulti. Malconci e un po’ più scoraggiati attraversarono insieme sentieri, boschi, paludi. Dopo qualche giorno di cammino giunsero a Besozzo, non lontano dalle acque ristoratrici del Lago Maggiore. Nicone decise di non addentrarsi nel paese ma di rimanere invece ai suoi margini, la vita gli aveva insegnato che le persone possono essere malvage con ciò che non conoscono o che non capiscono.
Lontano dal paese e dalle vie trafficate trovò un grande tronco cavo, quella divenne la sua casa e lì ebbe inizio la sua vita da eremita.
La sua presenza non passò inosservata troppo a lungo. Nicone, per vincere la diffidenza dei besozzesi, regalò loro il suo bue, e quelli ringraziando andarono via senza porsi ulteriori domande.
Le giornate di Nicone trascorrevano in pace e armonia con la natura, pregava e meditava.
A Besozzo intanto la vita procedeva tranquillamente come al solito, solo un piccolo incidente ne turbò la sua quiete.
Il fornaio del paese aveva l’abitudine di mettere qualche forma di pane a raffreddare sul davanzale della finestra, e presto si accorse che ogni tanto qualche forma spariva misteriosamente. A quel punto decise di indagare e senza fatica scoprì il colpevole. Un giorno vide un grosso cane avvicinarsi, addentare una pagnotta e poi sparire da dove era venuto. Il fornaio, un uomo di buon cuore, il giorno seguente pose vicino al pane anche un po’ di formaggio e di carne. Il cane si presentò nuovamente ma ancora una volta prese il pane e trascurò il resto. Incuriosito dall’inspiegabile morigeratezza del cane, decise di seguirlo. L’uomo si mantenne a qualche metro di distanza e così scoprì che il cane portava il pane a Nicone. Nicone benediceva il cibo e lo divideva con l’amico fidato.
Il fornaio fu colpito dalla bontà e dell’umiltà del giovane Nicone, diffuse la voce e presto gli abitanti di Besozzo, impietositi, andarono a far visita a Nicone offrendogli ogni tipo di pietanza.
Nicone rifiutò sempre tutto, continuando a vivere quello stile di vita semplice che aveva scelto tempo prima, ringraziava i buoni abitanti di Besozzo e, per ricambiare la gentilezza, dedicava loro le sue preghiere.
La voce di quell’uomo buono che viveva tra Besozzo e il Lago Maggiore arrivò presto alle orecchie degli abitanti di Barasso che, pieni di vergogna per aver cacciato il loro compaesano, in fretta si recarono da lui supplicandogli di tornare.
Nicone, buono ma non sciocco, rifiutò e recriminò loro tutte le volte che lo avevano preso a sassate, gli scappò anche una maledizione: che tutti gli abitanti di Barasso crescessero con un gozzo sul collo, a simboleggiare quelle pietre che avevano scagliato per puro odio.
Gli anni passarono, Nicone morì e il gozzo, dopo qualche generazione, scomparve dai flessuosi colli degli abitanti di Barasso.
Per Nicone venne costruita una chiesetta dove tutt’oggi ancora riposa. Pare che qualche scaramantico abitante di Barasso si rechi ancora da Nicone per chiedere perdono per i suoi avi e per supplicare che il gozzo non cresca di nuovo.
Posted by Ugo Battagin in Cantastorie
Tags: barasso, besozzo, leggende
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