Tutti conoscono le bellezze di Angera ma forse in pochi sono a conoscenza delle terribili vicende che vi si svolsero. Molti anni fa la castellana della Rocca di Angera era la bellissima Olivia De’ Valvassori: una giovane donna bella, dai cappelli neri che le scendevano in morbidi boccoli lungo la schiena. Era l’adorata nipote del vescovo Guido da Velate che spesso era suo ospite.
I banchetti della giovane Olivia erano molto ricchi e ben organizzati. Le musiche allietavano gli ospiti, le pance erano riempiti da ottimi piatti, e le lingue sciolte da vini dolci e profumati.
Una sera il vescovo Guido si lanciò in un’invettiva contro Arialdo da Cucciago ed Erlembaldo. I due erano “colpevoli” di aver denunciato al papa i suoi comportamenti immorali e corrotti. Avevano iniziato dai pulpiti di Varese, giungendo fino a Milano e scomodando perfino Sua Santità.
Alle aspre parole del vescovo, i commensali risero di buon gusto, questi si arrabbiò ancor di più. Solo la nipote Olivia ascoltava attentamente.
Olivia, anch’ella, era stata offesa da Arialdo. La bella ragazza aveva provato a sedurlo, ad aggiungerlo alla schiera di chierici che soleva portarsi a letto, ma il nobile e giusto Arialdo aveva resistito e declinato l’offerta. Un tale oltraggio Olivia non lo aveva mai subito e, quando udì le lamentele dello zio, decise che era ora di agire. La sua intelligenza era conosciuta in tutta Angera, e con il suo tipico sguardo furbo si avvinò allo zio per consolarlo: “Non temere, zio. Tutto si risolverà per il meglio”.
Il Papa aveva udito già dell’immoralità di Guido da Velate ma, essendo amici di vecchia data, decise di chiudere un occhio. Il papa però ben presto morì, a lui seguì un pontefice integerrimo che fu ben presto disgustato dalla condotta del vescovo.
Le voci sul comportamento corrotto e immorale del Vescovo di Velate si diffusero da Milano fino a Roma, e feroci proteste scoppiarono. Il 4 Giugno, alla vigilia di Pentecoste, più di settemila fedeli si riunirono alla chiesa di Santa Tecla. Le voci si levarono rumorose, inveendo contro i preti corrotti e concubinari, inneggiando invece ad Arialdo e Erlembaldo.
Il vescovo allora, istigato da Olivia, si presentò tra la folla e gridò: “Stolti! Non vedete a quali mani demoniache vi state affidando? Scegliete! O me, che garantirò pace e ricchezze, o questi straccioni impostori!”. Le guardie di Guido diedero il via a risse e scontri violenti. Erlembaldo, che si trovava anche lui tra la folla, riuscì a difendersi e ad aiutare Arialdo. Presto i fedeli ebbero la meglio, catturarono il vescovo con l’intenzione di ucciderlo. Arialdo, da vero cristiano, li fermò, intimò loro di riflettere e di pregare Sant’Ambrogio che di sicuro li avrebbe ricondotti sulla retta via.
Il vescovo fu lasciato andare, si salvò e iniziò a meditare sulla vendetta che avrebbe servito ai suoi nemici.
Giunse in suo aiuto la furba Olivia, sguinzagliò i suoi fedeli alla ricerca di Arialdo.
Il 27 Giugno 1066 il giovane Arialdo fu scovato, catturato e condotto sull’isolotto Partegora. Lì fu massacrato: gli vennero amputati orecchie, labbra, naso, mani. Gli vennero cavati gli occhi e infine venne evirato. Ridevano i due sgherri: “Voleva tanto essere casto, adesso di sicuro lo sarà!”. Arialdo venne seppellito sull’isola.
La notizia dell’omicidio si sparge. Gli uomini furiosi fremono, le donne lo piangono e profetizzano che da allora e per sempre il 27 giugno pioggia e grandine si sarebbero abbattute su tutto il lago.
Mesi dopo, quando la situazione sembra essersi placata, un marinaio di ritorno dalla traversata del lago urla sconvolto: “l’ho visto, l’ho visto! Arialdo è ancora vivo!”. La sua pesca è abbondante, accolta come un segno di buon auspicio e fortuna.
La voce giunge alle orecchie di Olivia che, stizzita, invia di nuovo le sue guardie a controllare. Giunti sull’isola però non trovano nulla di strano, il corpo è sempre lì, sempre morto. Per essere sicuri e non incorrere nell’ira di Olivia decidono di farlo a pezzi e buttarlo nel lago.
Il lago però, con le sue dolci acque, riconosce la bontà del santo, e lo riporta a riva. I seguaci di Arialdo ed Erlimbaldo, infatti, udita la notizia si sono accampati in preghiera lungo le coste. Quando vedono i resti di Arialdo, li prendono e li portano a Milano per deporli nella chiesa di San Celso. I resti del Santo sono avvolti in un profumo delizioso, una scia che scorre lungo tutto il tragitto e infine nella chiesa.
Le donne di Angera però, avevano ragione, il 27 Giugno di ogni anno, il lago è in tempesta e si verificano fatti strani.
Il Vescovo è morto, anche la nipote Olivia alla fine si è spenta.
Di lei resta la sua anima, che in questo mondo non troverà mai pace, pagherà per sempre il prezzo di un delitto atroce. Sulla Rocca di Angera si odono ancora le sue urla, i suoi pianti, segno di una disperazione che non avrà mai fine.
in Cantastorie
Dic30
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